Questo mese si è celebrata la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo. Eventi ricorrenti come questo servono per farci riflettere, sensibilizzare ed aumentare la nostra consapevolezza sui disturbi dello spettro autistico. Se quest’anno di pandemia è stato duro per tutti noi, pensiamo quanto possa esserlo stato per le persone affette da autismo. Immaginiamo come possano aver accusato lo stress dovuto alle misure di contenimento, l’isolamento domiciliare o, ancora peggio, un’ospedalizzazione in caso di contagio senza avere la possibilità di interagire con le persone che meglio conoscono.
I disturbi dello spettro autistico (Autistic Spectrum Disorder, ASD) raccolgono un insieme di quadri patologici del neurosviluppo, caratterizzati da deficit nella comunicazione e nell’interazione sociale e da comportamenti ed interessi ristretti e ripetitivi1. Tenendo a mente questa definizione, pensiamo a come queste persone possano aver vissuto la pandemia e a quanto, diversamente da come sarebbe dovuto accadere, non siano state prese in considerazione, aiutate e supportate. Questo articolo, però, si soffermerà su un aspetto che ad oggi è ancora molto oscuro alla maggior parte di tutti noi, ovvero sulla neuropsicobiologia del fenomeno.
La scienza che sta dietro ai disturbi dello spettro autistico
Secondo gli ultimi studi si stima che l’aumento dell’incidenza dei casi di ASD sia aumentato a tal punto che circa 1 su 59 bambini di 8 anni di età abbia un disturbo dello spettro autistico, dati raccolti dall’Autism and Develpomental Disabilities Monitoring Network (ADDM) del Centre for Disease Control and Prevention2. È proprio questo incremento dell’incidenza dei casi di ASD che ha provocato un aumento degli sforzi della ricerca sui processi neuropatologici sottostanti. Grazie a questi studi ci siamo resi conto che in realtà esistono svariati fenotipi clinici, ovvero svariate sfaccettature dell’autismo, ognuna di queste dovuta ad una multifattorialità causale: ovvero ad un coinvolgimento di fattori di rischio diversi tra loro che possono essere genetici, neurobiologici e ambientali e che interagiscono tra di loro in modo eterogeneo e non del tutto chiaro.

I dati ottenuti fino ad oggi stimano che l’autismo dipenda da 80% geni ereditati e da 20% cause ambientali3,4. Cosa significa? Che la genetica sembra rivestire un ruolo chiave, però questa predisposizione sembra essere necessaria, ma non sufficiente. Difatti, per avere l’espressione fenotipica, la base genetica deve interagire con i fattori ambientali che vengono considerati fattori di attivazione5. Fra questi, ad esempio, possiamo trovare fattori riguardanti il concepimento e la gravidanza (come l’età avanzata dei genitori al momento del concepimento, lo stato nutrizionale della madre e il suo indice di massa corporea, l’uso in gravidanza di farmaci che alterano la ricezione della serotonina e farmaci antidepressivi, abuso di alcol, cocaina e fumo, esposizione ad infezioni durante la gravidanza etc.) oppure le sostanze chimiche a cui l’attuale società industriale ci espone come l’inquinamento atmosferico di polveri fini o metalli pesanti nell’agricoltura6.
Esistono anche fattori di rischio immunologici che possono essere associati a infezioni o febbre materna durante la gravidanza, malattie autoimmuni contratte durante quest’ultima o, ancora, la familiarità per malattie autoimmuni e anomalie immunitarie. A sottolineare questa tesi troviamo un importante studio che ha dimostrato come l’alterazione di tali fattori immunitari influenzi una vasta gamma di processi del neurosviluppo causando una neuroinfiammazione attiva e persistente e un’alterazione delle funzioni immunitarie cellulari7. Un ultimo fattore da prendere in considerazione sono le basi neurobiologiche, ovvero quelle alterazioni o lesioni neuroanatomiche che possono coinvolgere particolari zone cerebrali come le regioni dei lobi frontali, la corteccia temporale superiore, l’amigdala, l’ippocampo, il cervelletto e, infine, il tronco cerebrale8.
Il dibattito autismo-vaccini

Fra i fattori di rischio precedentemente esaminati non sono stati nominati i vaccini, questo perché prima di farlo occorre chiarire le basi di questa ipotesi. Per parlare del rapporto vaccini e autismo bisogna partire da 28 febbraio 1998. In questa data, il gastroenterologo Andrew Wakefield, pubblicò assieme ai suoi colleghi un paper su The Lancet dal titolo “Ileal-lymphoid-nodular hyperplasia, non-specific colitis, and pervasive developmental disorder in children” in cui dichiarava che il vaccino morbillo-paroteite-rosolia (MPR) causava un’infiammazione gastrointestinale che portava alla traslocazione di peptidi non permeabili al flusso sanguigno e, successivamente, al cervello, dove influenzavano lo sviluppo. In questo studio, però, ci si accorse successivamente che erano presenti alcuni errori tecnici. Analizziamoli assieme.
Il gruppo sperimentale e quello di controllo
In qualsiasi studio scientifico che si rispetti bisogna sempre avere un gruppo sperimentale sottoposto ai cambiamenti della variabile (in questo caso il vaccino) e un gruppo controllo non esposto a questo cambiamento (non vaccinato). Questo perché è proprio il confronto fra i due gruppi che ci dà la sicurezza che i dati derivanti dal gruppo sperimentale siano effettivamente dovuti alla variabile che si sta testando e non a influenze sconosciute. Senza un gruppo-controllo non potremmo capire se l’insorgenza dell’autismo sia dovuto alla somministrazione del vaccino o, invece, ad un’altra delle cause spiegate precedentemente. Nello studio citato non si ricorse a questo tipo di confronto, comportando così un’assenza di dati per capire se il verificarsi di autismo dopo il ricevimento del vaccino fosse causale o, semplicemente, coincidente. Difatti, in quegli anni circa 50.000 dei bambini che ricevettero il vaccino MPR avevano un’età compresa fra 1 e 2 anni, ovvero il momento in cui, tipicamente, si manifesta la malattia. Stando a questi numeri e sapendo che, in quegli anni, l’insorgenza dell’autismo nei bambini inglesi era 1 su 2000 bambini, circa 25 bambini al mese avrebbero potuto ricevere una diagnosi di quel disturbo a prescindere dalla somministrazione del vaccino10. Un altro concetto fondamentale che mancava nello studio di Wakefield era la variabilità inter-paziente, la quale può essere soddisfatta utilizzando un grande numero di pazienti come campione. Pensiamo allo studio di fase clinica 3 che hanno condotto per l’autorizzazione al commercio del vaccino anti-covid Pfizer: sono stati arruolati circa 40mila volontari, metà di questi hanno ricevuto il vaccino, mentre alla restante hanno somministrato il placebo. Questo perché avere una popolazione di studio ampia ci permette di ridurre al minimo l’influenza delle variabilità che si hanno fra i soggetti. Nello studio di Wakefield e colleghi, invece, sono stati considerati come oggetto di studio solamente dodici bambini.
Incertezza dei dati
Un’altra condizione importante per gli studi clinici è quella di evitare che ricercatori e pazienti conoscano informazioni che potrebbero portare a effetti di aspettativa consci o inconsci, così da invalidare i risultati. In gergo scientifico si chiama “studio cieco”, proprio perché sia pazienti che operatori sono all’oscuro del tipo di trattamento sottoposto. Nello studio di Wakefield e colleghi, invece, sia i pazienti che le figure professionali erano a conoscenza che ai bambini fosse stato somministrato quel tipo di vaccino in un preciso periodo della loro vita.
Un ulteriore errore si individua nella raccolta dei dati: i risultati dello studio relativi ad ogni bambino non furono raccolte sistematicamente o completamente. Negli anni successivi alcuni studiosi vollero ripetere gli esperimenti, ma fallirono miseramente.
Incertezza sull’origine dell’infiammazione
Come già detto precedentemente, nello studio in questione si dichiarava che il vaccino morbillo-paroteite-rosolia causasse un’infiammazione gastrointestinale che portava alla traslocazione di peptidi solitamente non permeabili al flusso sanguigno e, successivamente, al cervello, dove influenzavano lo sviluppo. Seguendo questa logica, nei soggetti studiati i disturbi dello spettro autistico sarebbero dovuti comparire dopo le complicanze gastrointestinali. In alcuni bambini, però, è successo il contrario; ovvero i sintomi gastrointestinali non hanno preceduto l’autismo, andando così a smontare la nozione che fosse l’infiammazione intestinale a facilitare l’invasione dei peptidi encefalopatici nel flusso sanguigno. Ad aumentare l’incertezza di questo studio fu il fatto che i peptidi accusati non siano mai stati identificati.
È successo invece che sono stati scoperti dei geni associati al disturbo dello spettro autistico, geni che codificano per proteine endogene che influenzano la funzione delle sinapsi neuronali, l’adesione delle cellule neuronali, la regolazione dell’attività neuronale o il traffico endosomiale11,12.
Il tempo per revisionare e scoprire tutti questi errori fu però troppo lungo e l’effetto di questo studio fu devastante. Nell’intero regno unito le percentuali di bambini vaccinati crollarono esponenzialmente provocando conseguenze terribili. Con il passare degli anni si venne a scoprire che Wakefield fu pagato per effettuare questo studio. A dargli 500.000 sterline fu un avvocato che stava per iniziare una causa contro le case produttrici del vaccino al fine di ottenere un risarcimento miliardario. Inoltre, si scoprì solo più tardi che il medico inglese aveva brevettato un sistema di produzione per i tre vaccini morbillo, parotite e rosolia separati. Queste verità purtroppo uscirono solamente dopo che un suo assistente dichiarò che i test positivi dei risultati erano in realtà stati falsificati, dimettendosi e chiedendo la rimozione del suo nome da un altro studio condotto nel 2002.
Dopo la scoperta di tali avvenimenti, nel 2010 il General Medical Council (GMC) del Regno Unito stabilì che Andrew Wakefield ebbe un comportamento disonesto, irresponsabile e non etico. Successivamente anche la rivista The Lancet, che aveva pubblicato il primo studio di Wakefield, decise di intervenire ritirando per sempre quell’articolo dalle sue pubblicazioni:
“Following the judgment of the UK General Medical Council’s Fitness to Practise Panel on Jan 28, 2010, it has become clear that several elements of the 1998 paper by Wakefield et al. are incorrect, contrary to the findings of an earlier investigation. In particular, the claims in the original paper that children were “consecutively referred” and that investigations were “approved” by the local ethics committee have been proven to be false. Therefore we fully retract this paper from the published record.”

Negli anni a seguire numerosi studi in tutto il mondo tentarono di fare chiarezza sul tema, nessuno riuscì a dimostrare una correlazione tra vaccini e autismo. Fra questi troviamo un primo studio nel Regno Unito e un secondo in California14,15, entrambi dimostrarono che post introduzione del vaccino non si erano riscontrate differenze nei tassi di autismo tra i bambini vaccinati e non vaccinati negli anni 1988-1999. Un ulteriore indagine nel Regno Unito eseguito su più di tre milioni di persone post somministrazione del vaccino vide che l’aumento delle diagnosi aumentava nonostante i numeri dei vaccinati rimanessero gli stessi, suggerendo quindi che l’aumento dei casi di autismo fosse dovuto ad altri fattori16. Nella grafica sottostante potete trovare tutti gli studi effettuati ad oggi sul tema, nessuno di questi ha trovato una correlazione vaccino-autismo.
Studi | Tipo di studio | Nazione |
---|---|---|
Taylor et al., 1999 [Link] | Ecologico | Regno Unito |
Farrington et al., 2001 [Link] | Ecologico | Regno Unito |
Kaye et al., 2001 [Link] | Ecologico | Regno Unito |
Dales et al., 2001 [Link] | Ecologico | stati Uniti |
Fombonne et al., 2006 [Link] | Ecologico | Canada |
Fombonne e Chakrabarti, 2001 [Link] | Ecologico | Regno Unito |
Taylor et al., 2002 [Link] | Ecologico | Regno Unito |
DeWilde et al., 2001 [Link] | Caso-Controllo | Regno Unito |
Makela et al., 2002 [Link] | Coorte Retrospettiva | Finlandia |
Madsen et al., 2002 [Link] | Coorte Retrospettiva | Danimarca |
DeStefano et al., 2004 [Link] | Caso-Controllo | stati Uniti |
Peltola et al., 1998 [Link] | Coorte Prospettica | Finlandia |
Patja et al., 2000 [Link] | Coorte Prospettica | Finlandia |
Studi | Tipo di studio | Nazione |
---|---|---|
Stehr-Green et al., 2003 Link] | Ecologico | Svezia e Danimarca |
Madsen et al., 2003 [Link] | Ecologico | Danimarca |
Fombonne et al., 2006 [Link] | Ecologico | Canada |
Hviid et al., 2003 [Link] | Coorte retrospettiva | Danimarca |
Verstraeten et al., 2003 [Link] | Coorte retrospettiva | stati Uniti |
Heron e Golding, 2004 [Link] | Coorte Prospettica | Regno Unito |
Andrews et al., 2004 [Link] | Coorte retrospettiva | Regno Unito |
Oggi, nonostante i risultati ben documentati dei vaccini e i grandi sforzi della comunità sanitaria pubblica per garantire la loro sicurezza, i critici della vaccinazione propongono una lista crescente di teorie che collegano i vaccini all’autismo. I pazienti o i genitori che fanno ricerche sui vaccini o su altri argomenti di salute possono avere difficoltà a distinguere le fonti di informazione rispettabili da quelle meno affidabili. Non a caso molte delle ricerche pubblicate citate dai sostenitori del legame vaccino-autismo e teorie simili sono apparse in riviste di dubbia reputazione e sono respinte come scientificamente scorrette dai ricercatori tradizionali17. Queste riviste rischiano di mettere a repentaglio la salute pubblica tramite la pubblicazione di ricerche imperfette nel disegno o nell’analisi tali da non poter raggiungere conclusioni valide. In risposta a queste, medici, scienziati e funzionari governativi della sanità pubblica sono abitualmente sulla difensiva, confutando le accuse, giustificando il valore dei vaccini raccomandati e cercando di preservare la fiducia del pubblico nella vaccinazione in generale. A complicare ancora di più il quadro generale, ci sono le relazioni complesse e a lungo contese tra i cittadini, la scienza, lo stato e le loro implicazioni per la politica e la pratica della salute pubblica. In questo disegno così complesso, focalizzare le energie e porre i riflettori sulla correlazione vaccini e autismo rischia di lasciare in ombra elementi macroscopici come i benefici della vaccinazione e le scoperte della ricerca di base riguardo i meccanismi neurobiologici che portano all’autismo. Del resto, come diceva Auerbach nel 1946:
“Di tutto un ampio discorso, s’illumina una piccola parte, ma tutto il resto, che servirebbe a spiegarlo e dare ciascuna cosa il suo posto, e verrebbe, per così dire, a formare un contrappeso a ciò che è stato messo in risalto, viene lasciato nel dubbio.”.
Quello che dovremmo imparare è saper rappresentare la verità e comunicarla in maniera corretta. La pandemia ci ha regalato l’opportunità di riflettere sull’importanza di una rinnovata educazione, del dialogo, della costruzione del consenso sul valore dei vaccini e, soprattutto, di una migliore comunicazione. Cogliamo questa occasione per un futuro migliore.
Marilù Casini è vincitrice della borsa europea Marie Curie grazie alla quale, dopo un periodo di ricerca in Germania, sta proseguendo la sua carriera all’Università Politecnica di Valencia. Fuori dal laboratorio si impegna a fare divulgazione scientifica attraverso i suoi canali social.
Bibliografia/Sitografia
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