Il divario esistente tra la teoria e la pratica è una delle problematiche che più frequentemente si riscontra nei corsi che preparano allo svolgimento di una professione. Alcuni teorici che si sono occupati di formazione come Kolb e Schön hanno tentato di superare questo divario attraverso la formulazione di diverse teorie relative all’apprendimento esperienziale.
Secondo la teoria di Schön la pratica rappresenta il mezzo principale per l’apprendimento. Questa teoria si basa in modo specifico sul “knowing in action”, in cui il professionista affrontando nuove situazioni, formulando ipotesi, prendendo decisioni in contesti reali e mai sperimentati prima è stimolato all’apprendimento.
David A. Kolb, docente di Psicologia Sociale presso la Harvard University ha introdotto invece il concetto di “apprendimento esperienziale”, un processo dove la conoscenza si sviluppa mediante l’osservazione e la trasformazione dell’esperienza. Kolb individua quattro fasi (o stadi) di apprendimento:
I. l’esperienza concreta,
II. l’osservazione riflessiva,
III. la concettualizzazione astratta
IV. la sperimentazione attiva
Analizzando ed osservando i corsi per infermieri australiani, White ed Ewan inseriscono le attività di laboratorio all’interno del ciclo di apprendimento. Secondo le autrici, con un andamento ciclico, dopo la teoria preparatoria si posiziona la fase del laboratorio didattico, quindi il briefing, la pratica clinica, il debriefing e per ultima la valutazione. Il laboratorio diventa il luogo dove si possono svolgere le attività per la comprensione, la prova e l’utilizzo dei principi teorici ad un livello generale ed in piena sicurezza. Il laboratorio implica quindi una risposta basata sull’apprendimento (experience-based learning), come conoscenza attraverso l’azione e non come una risposta automatica basata sulle esercitazioni pratiche. Durante tali attività allo studente è richiesto lo sviluppo di abilità di pensiero critico ed ipotetico-deduttivo.
Negli ultimi anni la simulazione a alta fedeltà (HFS) sta assumendo un ruolo sempre più importante e crescente nell’educazione infermieristica. La finalità degli skill laboratories negli ambienti didattici sanitari è quella di garantire attraverso un’esperienza concreta e simulata, comparabile a ciò che lo studente affronterà poi nella sua carriera professionale, la possibilità di immedesimarsi in uno scenario realistico e di apprendere attraverso la
pratica.
Una revisione sistematica del 2011 di Cook D.A. et al., che ha incluso 609 studi, ha esaminato i benefici della tecnologia avanzata applicata alla simulazione nelle professioni sanitarie. Da questa revisione è emerso che in relazione ad una pratica “standard”, dove non vengono utilizzate tali tecnologie, la simulazione ad alta fedeltà (HFS) sembra avere importanti effetti sulle conoscenze, sulle skills, sui comportamenti appresi dagli studenti ed effetti moderati invece sugli outcome correlati ai pazienti. Un’ulteriore revisione sistematica del 2007, che ha incluso 44 studi (esclusivamente RCT), ha esaminato l’efficacia degli skill laboratories ed il relativo trasferimento delle abilità acquisite nella pratica clinica nella facoltà di medicina, con riscontri positivi. Gli autori indicano tuttavia la necessità di consolidare le evidenze a disposizione attraverso ulteriori studi di buona qualità.
L’educazione infermieristica è in continua evoluzione, lo sviluppo tecnologico costante, il processo di professionalizzazione e la ridefinizione delle competenze necessarie per l’assistenza infermieristica, rendono indispensabile una rivalutazione dei sistemi di apprendimento ed insegnamento fino ad ora adottati. L’introduzione degli skill labs, inseriti nei programmi universitari, con l’obiettivo di migliorare l’apprendimento delle competenze cliniche, risulta essere una realtà già ampiamente diffusa e validata a livello internazionale, soprattutto in paesi come Inghilterra, Francia, Stati Uniti e Canada. Questa tipologia di simulazione prese avvio introno agli anni ’70 con lo sviluppo dei primi manichini utilizzati negli ambienti didattici sanitari. I manichini utilizzati oggi nella simulazione ad alta fedeltà, con proporzioni anatomiche perfette, hanno raggiunto un livello di realismo elevato. Gli studenti possono esercitarsi e compiere errori, senza il timore di determinare un danno al paziente e ricevendo un feedback immediato. Gli scenari che utilizzano HFS possono, infatti, possono essere impostati per replicare condizioni del paziente realistiche attraverso impulsi, suoni cardiaci e polmonari, segni vitali ed onde ecocardiografiche. Questo simulatore può reagire fisiologicamente attraverso controllo computerizzato da parte dell’istruttore, mentre gli studenti interagiscono ed intervengono.
La simulazione crea un’esperienza di apprendimento, che ha dimostrato di aiutare gli studenti a integrare i contenuti necessari per una pratica clinica sicura ed ottimale, questo ha portato molte università in Europa ad implementare i propri centri di simulazione, con lo sviluppo di aree dedicate.
In Danimarca, ad esempio, il laboratorio per le Clinical Skills nell’Università di Copenaghen e il Clinical Skills Laboratory nell’Università di Aarhus sono guidati da tutor esperti in pratica clinica, i quali dopo aver svolto lezioni teoriche e dimostrazioni pratiche, consentono agli studenti di immedesimarsi negli scenari predefiniti. Anche in Italia, all’Università di Pisa sono stati recentemente attivati i laboratori di simulazione nella facoltà di infermieristica con esiti positivi nella performance degli studenti coinvolti. Inoltre in Germania, nell’Università di Tubinga è stato istituito un centro dedicato alla simulazione. All’Ospedale Universitario di Georgetown in Canada, ha introdotto la simulazione nei corsi di infermieristica per lo sviluppo di competenze, soprattutto per l’area critica e la terapia intensiva.
Negli Stati Uniti e in Australia, invece, sono state aumentate le ore dedicate alla pratica nei percorsi di apprendimento, inserendole nei curriculum formativi. Nonostante gli importanti sviluppi tecnologici, per progettare e strutturare un Clinical Skill Lab non è sufficiente disporre di risorse e spazi adeguati, ma occorre pensare e programmare un percorso organizzativo che coinvolga i tutor formatori, al fine di stimolare lo studente all’apprendimento e rendere, allo stesso tempo, efficaci le attività di laboratorio svolte.
Nelle scuole di infermieristica la pianificazione strategica risulta essere una fase indispensabile per fronteggiare ed adeguarsi ai continui cambiamenti e sviluppi nei sistemi sanitari e rispondere in modo adeguato ai bisogni crescenti nella popolazione, in una realtà estremamente dinamica e varia. L’elemento innovativo è fondamentale nella fase di progettazione, se lo studente infatti avrà già avuto esperienze con le skills proposte, potrebbe non sentirsi sufficiente coinvolto e motivato nelle attività presentate ed avere quindi un atteggiamento di tipo passivo. Le fasi di realizzazione di un clinical skill lab vanno dall’identificazione dello scenario che si vuole realizzare associato a dei casi clinici concreti, alla sua realizzazione e ad un debriefing finale, durante il quale discutere in modo critico gli elementi positivi e negativi riscontrati nelle attività svolte, nel tentativo di apportare miglioramenti nelle sessioni future.
L’apprendimento basato sulla pratica consente allo studente di scoprire nuovi legami tra concetti ed azioni, ed esplorare nuove abilità gestuali o relazionali fino ad ora mai sperimentate. All’interno di questi scenari lo studente ha la possibilità di sviluppare nuove abilità cognitive,decisionali e implementare le proprie capacità di ragionamento clinico ed ipotetico-deduttivo,ricercando alternative valide per le situazioni proposte, simulando così realtà che lo studente potrebbe poi fronteggiare nella pratica clinica. La scena proposta deve essere quanto più realistica possibile nel riprodurre una situazione potenziale, questo rappresenta un prerequisito fondamentale per stimolare lo studente all’apprendimento e accrescere la propria fiducia. L’intero processo è basato sul decision making e sul problem solving, gli studenti simulano infatti ciò che poi svolgeranno durante la loro attività professionale, risolvendo situazioni problematiche e ponderando le proprie scelte in maniera razionale. Realizzare una situazione realistica di addestramento aumenta il coinvolgimento dello studente, è possibile eventualmente inserire casi-studio, role playing o altre forme interattive, potendo così ottenere risultati che incidono in modo significativo nell’apprendimento.
La spending review ha limitato di molto i fondi utilizzabili nelle realtà universitarie, per tanto utilizzare al meglio le risorse disponibili, evitando sprechi e definire una linea di pianificazione strategica precisa, per identificare gli obiettivi che si intendono raggiungere e in che modo, risultano essere prerogative fondamentali ed imprescindibili. Il ruolo del tutor all’interno degli skill labs risulta essere di fondamentale importanza. Oltre a presentarsi come soggetto esperto nella pratica clinica, relativamente alle competenze e alle skills che si intendono sviluppare, risulta anche essere colui che deve progettare il laboratorio ed eventualmente condurre le sessioni di simulazione. Al tutor sono richieste elevate competenze di tipo didattico-organizzative, professionali e relazionali. Durante la fase di strutturazione del laboratorio egli dovrà definire gli obiettivi formativi, reperire le risorse materiali ed identificare i luoghi idonei allo svolgimento della sessione, selezionare eventuali risorse umane e selezionare i metodi di valutazione più idonei.
Analizzando l’aspetto quantitativo dei laboratori, comparando il CDL in infermieristica in Italia ad altri centri universitari internazionali emerge come le ore dedicate alle attività pratiche di laboratorio siano quasi sempre superiori in modo significativo in altri centri internazionali rispetto a quelli italiani. Nel Regno Unito l’NMC ha abolito il limite massimo di ore per i laboratori, precedentemente fissato a 300, rendendo infatti possibile la pianificazione di oltre 300 ore dedicate alla simulazione. In Italia il Decreto Ministeriale del 2009, ha indicato per le attività di laboratorio del corso di laurea in infermieristica 3 CFU, per un valore complessivo di 60 ore da distribuire nei 3 anni. Da questa analisi è evidente che le ore dedicate ai laboratori nei centri universitari italiani siano inferiori se paragonate ad altri contesti internazionali.
Data l’importanza delle attività di laboratorio, come ampiamente dimostrato in letteratura, nel coniugare la teoria alla pratica, potenziando le abilità e le competenze di ciascuno studente prima di accedere al tirocinio clinico, un’implementazione del numero delle ore correttamente distribuite nei tre anni, associata ad un adeguato sviluppo progettuale, potrebbe migliorare la performance e la sicurezza degli studenti nei percorsi di tirocinio e nella pratica clinica.
Analizzando invece l’aspetto qualitativo, il laboratorio, che è l’ambito che consente il trasferimento delle abilità, viene definito dalla struttura che governa il corso, attraverso un progetto. Non esiste un documento unico per tutte le università che indica quali sono le attività e le basi progettuali dei laboratori. Questo aspetto se da una parte garantisce una certa autonomia ai corsi di laurea, dall’altro rischia di generare frammentazioni e discrepanze tra le varie sedi. Tale progetto dovrebbe basarsi sugli insegnamenti teorici di ciascun anno e semestre, sulle attività professionalizzanti e sull’ambito di tirocinio che verrà svolto, definendo delle attività con complessità crescente di anno in anno, di semestre in semestre.
Le numerose evidenze fornite dalla letteratura di riferimento, le criticità riscontrate nei metodi di valutazione adottati in passato e la percezione positiva degli studenti emersa dalle sperimentazioni dei Clinical Skill Labs hanno chiaramente indicato la strada da percorrere.
Nonostante la riduzione dei fondi a disposizione dell’università è importante riconoscere che la qualità della formazione, che va oltre la semplice acquisizione di nozioni tecniche, risulta essere determinante nel percorso dello studente. La pratica svolta in laboratorio negli ambienti didattici sanitari, ed in particolar modo nei corsi di laurea in Infermieristica, oltre ad essere una fase fondamentale nel percorso di apprendimento di ciascuno studente nell’acquisizione di competenze specifiche, determinerà l’essenza stessa del professionista. Investire nella formazione, pertanto, dovrà essere una prerogativa e non più una scelta secondaria. La capacità del professionista di erogare un’assistenza infermieristica sempre adeguata al contesto ed in linea con le evidenze ed i bisogni della popolazione sarà infatti determinata in parte proprio dalla qualità della formazione ricevuta.
Rocco Teo Vertone è un infermiere e ricercatore presso l’IRCCS Giovanni Paolo II di Bari e membro dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica.
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