L’Italia, ormai, è un paese multietnico dove vanno a convivere diverse etnie, ognuna con una propria cultura, convinzioni e valori. Di questo cambiamento ne risentono i professionisti sanitari, in particolare l’infermiere, che si trova ad assistere pazienti che appartengono a cultura o etnia con una propria concezione di salute diversa da quella occidentale. L’infermiere è il professionista sanitario che si occupa dell’assistenza diretta alla persona, come affermato anche nel Codice Deontologico, nel profilo professionale e nel patto infermiere- cittadino.
Affinché si possa realizzare un’assistenza ottimale e nel pieno rispetto della persona, l’infermiere deve valutare anche quegli aspetti caratteristici della persona stessa, ossia la sua etnia, la sua religione, le sue convinzioni e valori, ricordandosi dell’importanza dell’alterità culturale, poiché è l’infermiere ad invadere gli spazi del paziente e non viceversa. Tutto questo si avvicina a quella che viene definita “Infermieristica Multiculturale” e al metaparadigma di Madeleine Leininger, prima infermiera antropologa, fondatrice e prima sostenitrice dell’assistenza transculturale.
Nel 1954 la Leininger dopo aver ottenuto la specializzazione in nursing psichiatrico infantile presso l’Università Cattolica d’America a Washington D.C. iniziò un programma d’assistenza specialistica in psichiatria infantile presso l’Università di Cincinnati. Fu in questo periodo che, lavorando con bambini disadattati, verificò l’incomprensione del personale nei confronti di alcuni fattori culturali che influenzavano il comportamento dei suoi pazienti. Questo la portò ad iniziare a studiare l’antropologia, fino ad arrivare nel 1965 al dottorato con uno studio d’etno-assistenza ed etno-sanità sulle popolazioni Gadsup della Nuova Guinea. In questi anni Madelaine Leininger ha individuato molti punti di contatto tra l’infermieristica e l’antropologia, dimostrando come le due discipline possono essere complementari tra loro.
“Un’area principale di Nursing che ha al suo centro uno studio comparato e l’analisi di diverse culture in rapporto al nursing e alle pratiche d’assistenza connesse con lo stato di salute/ malattia, alle credenze e ai valori, con lo scopo di fornire alle persone assistenza infermieristica efficace e significativa, in linea con i loro valori culturali ed il loro contesto.”
(Madeleine Leininger, 1978)
Madeleine Leininger ha sviluppato la sua teoria in base all’idea che le culture possono determinare la maggior parte dell’assistenza desiderata. Essa può essere considerata una teoria olistica in quanto prende in considerazione la struttura sociale, la visione del mondo, i valori, l’ambiente, le espressioni del linguaggio ed i sistemi professionali della gente, al fine di elaborare conoscenze infermieristiche.
La Leininger identifica così le fasi evolutive dell’infermieristica transculturale:
- Fase I: l’infermiere acquisisce consapevolezza e sensibilità rispetto alle differenze e somiglianze dell’assistenza culturale.
- Fase II: L’infermiere approfondisce la teoria dell’assistenza infermieristica e dei risultati della ricerca con le competenze acquisite in assistenza culturale.
- Fase III: l’infermiere utilizza in modo creativo e pratico i risultati della ricerca con prove documentate per ottenere pratiche assistenziali culturalmente adeguate e valuta i risultati.
L’obiettivo è quello di garantire un’assistenza universale e specifica per una cultura che promuova il benessere, la salute di individui, famiglie, gruppi, comunità e istituzioni. Quindi questo ci fa capire che l’assistenza transculturale della persona deve essere studiata in modo sistemico, per garantire una buona pratica specifica ed equa. I movimenti di popolazione rappresentano, oltretutto, uno dei fenomeni di più rilevante importanza nelle società umane e hanno assunto sempre più rilievo nel mondo contemporaneo, e come non mai anche a livello sociosanitaria, soprattutto se non ci sono delle basi.
Le migrazioni costituiscono una parte fondamentale di tale fenomeno, ed è sempre più probabile anche in ambito sanitario doversi confrontare con utenti che presentino un differente background culturale. In Italia si può constatare la presenza di provenienze differenti da tutti i continenti del mondo, intorno a 189 paesi, arrivate in Italia mediante le reti migratorie. Ogni persona che arriva in Italia, aldilà della modalità di arrivo, porta con sé un proprio bagaglio culturale che contiene valori, convinzioni, tradizione e religione, l’insieme di tutti questi aspetti possono portare l’immigrato ad avere uno stile di vita diverso da quello italiano
Dalla pubblicazione di “Indicatori di Salute Zona Fiorentina Nord-Ovest” del 20 Novembre 2020, emerge che gli stranieri residenti in Toscana rappresentano l’11,3% della popolazione e sono in crescita dai primi anni 2000, con prevalenza nella zona pratese, seguita dalla fiorentina.
La popolazione straniera può portare con sé condizioni di salute, stili di vita e modalità di accesso ai servizi sanitari diverse rispetto alla popolazione autoctona, per questo misurarne il peso, sia in termini relativi che assoluti, fornisce un aiuto alla programmazione dei servizi sociosanitari.
L’ospedalizzazione tra gli stranieri tende a risalire, dopo un periodo di diminuzione che però sembra dovuto a problemi di codifica in alcune zone. Nel triennio 2017-2019 il tasso grezzo è pari a 85,4 ricoveri ogni 1.000 abitanti stranieri, ma in realtà l’incidenza standardizzata per età è più alta, circa 103 ricoveri x1.000. Questo perché la popolazione straniera è mediamente più giovane di quella generale e questo di per sé potrebbe contribuire a tenere l’ospedalizzazione su livelli più bassi, ma l’effetto si perde dopo la standardizzazione, necessaria per capire il reale stato di salute della popolazione. In generale l’ospedalizzazione è maggiore tra le donne straniere rispetto agli uomini (116 vs 92 ricoveri x 1.000 abitanti nel triennio 2017-2019). In alcune zone si rilevano degli andamenti anomali nell’ultimo biennio, dovuti presumibilmente alla qualità dell’informazione sulla nazionalità nel flusso delle schede di dimissione ospedaliera (Firenze, Val di Nievole, Pistoiese, Fiorentina Sud-Est, Mugello).
Nel 2011 è stato condotto uno studio di tipo quanti-qualitativo con finalità descrittiva tramite questionario (costituito da 16 quesiti a risposta chiusa), volto a rilevare il grado di preparazione teorico-pratico degli infermieri verso l’assistenza agli stranieri, impatto emotivo ed esperienziale della relazione, difficoltà emerse e strategie di risoluzione. Il campione, di tipo convenzionale è costituito da infermieri nati in Italia, in organico nelle Unità Operative dell’Ospedale San Raffaele di Milano, nelle quali si è svolta un’indagine analoga nel 2004 (Manara et al., 2004), l’unico criterio di esclusione adottato è riferito agli infermieri in periodo di prova ed in servizio part-time. Alcune domande contengono variabili qualitative, che prevedono l’assegnazione di un valore numerico su scala ordinale (Scala Linkert) per ciascun atteggiamento, problemi o soluzione dichiarato dal compilatore.
Sono stati raccolti 91 questionari compilati su 101 distribuiti, pari ad una percentuale di rispondenza del 90%. Nell’indagine del 2004 sono stati consegnati 105 questionari con un’adesione pari al 79,1%, il campione risultava, dunque, composto da 83 infermieri italiani. La maggior parte (87%) degli infermieri intervistati nell’indagine, alla domanda “Pensa sia utile un piano studi che tenga conto del rapporto con i pazienti stranieri?”, considera importante una formazione di base specifica. Ma solo il 58% dei rispondenti ritiene di aver tratto effettivamente vantaggi dalla formazione in questo ambito. Rispetto ai prerequisiti teorici inerenti alla relazione assistenziale con il paziente straniero si è registrato un netto miglioramento nelle risposte che indagavano i presupposti cognitivi alla comprensione della dimensione culturale del bisogno di assistenza infermieristica. Alla domanda “I bisogni di assistenza infermieristica del paziente sono influenzati dalla sua provenienza socio-culturale?” il 73% degli intervistati ha risposto di “sì”, contro il 58% del 2004, mentre diminuisce nettamente il numero degli infermieri indecisi, dal 16% al 2%. Ancora stabile a circa un quarto degli intervistati coloro che ritengono che non vi sia legame tra cultura di provenienza e richieste assistenziali. In tutte le unità operative indagate la percezione della percentuale dell’utenza straniera assistita è superiore rispetto alla presenza reale dei migranti ed in aumento rispetto al 2004.
Riguardo alle reazioni emotive suscitate dall’incontro con il paziente immigrato, i risultati confermano i dati del 2004: le reazioni emotivamente negative sono quasi irrilevanti, mentre quelle positive sono prevalenti. Il costo di tale investimento emotivo è tuttavia notevole: come già nel 2004, la maggioranza del campione esprime valutazioni di complessiva gratificazione ed interesse, ma cresce il numero di coloro che percepiscono questa relazione come frustante e stressante, in particolare fra gli operatori del Pronto soccorso. Le principali difficoltà nell’assistenza infermieristica, sia nel 2004 che nel 2011 sono correlate al linguaggio e alle situazioni che richiedono l’utilizzo di competenze verbali. Le strategie e gli atteggiamenti identificati dagli infermieri come utili per far fronte a tali problemi e migliorare la qualità dell’assistenza ai pazienti immigrati, risulta essere il servizio di Mediazione Culturale, come già si era rilevato nel 2004.
In un altro studio del 2018, è stata fatta un’indagine di tipo esplorativo-descrittivo qualitativo mediante la quale si voleva valutare l’importanza dell’assistenza transculturale da parte dell’infermiere. Per lo studio sono stati coinvolti con base volontaria infermieri che operano a livello territoriale in Toscana. Il questionario elaborato era composto da 29 quesiti, di questi, 26 a risposta multipla e 3 a risposta aperta. Il 76,8% degli intervistati ha assistito, durante l’esercizio della propria professione, pazienti appartenenti a cultura diversa, ossia differente rispetto a quella Occidentale, solo il 23,2% ha risposto di No, dato strettamente correlato al periodo di servizio, dei candidati, che in media si aggira a 1,5 anni.
Alla domanda “Quali sono state le etnie con cui ha avuto maggiori difficoltà nel relazionarsi?”, in media risulta che vengono trovate minori difficoltà con i pazienti provenienti dall’Europa dell’est, mentre vengono trovate maggiori difficoltà, prendendo in relazione le maggiori aree di provenienza degli assistiti e il grado di difficoltà, con i pazienti provenienti dall’Asia Orientale e Nord Africa. Questo dato può essere legato alla cultura che si differisce completamente da quella Occidentale e, principalmente nel caso dei pazienti provenienti dal Nord Africa, alla religione.
Per quanto riguarda le difficoltà nel doversi confrontare con altre etnie/culture, il 56,6% degli infermieri riferisce di non averne trovate, mentre il 43,4% ha avuto difficoltà, principalmente per la lingua e nella spiegazione delle attività infermieristiche che verranno svolte. La maggior parte dei candidati, che rappresenta il 60,5%, ha risposto che nella struttura sanitaria in cui lavorano non hanno un piano/procedura assistenziale che comprende servizi per garantire un’efficace prestazione infermieristica a pazienti appartenenti a cultura/etnia diversa col fine di ridurre le diseguaglianze prestazionali e di cura, questo dato va a pari passo con il precedente che prende in considerazione le difficoltà che vengono travate dagli infermieri nel confronto con pazienti appartenenti a cultura diversa rispetto a quella Occidentale. Infatti, il 26,3 % dei candidati che ha indicato di aver trovato difficoltà nell’approcciarsi con pazienti stranieri ha, anche, dichiarato che la struttura in cui lavora non presenta delle procedure/piani assistenziali da mettere in atto in questi casi. Il 48,8% degli infermieri si è mostrato d’accordo sul fatto che i bisogni di assistenza del paziente sono influenzati dalla sua provenienza socioculturale. Si sono mostrati d’accordo, inoltre, con il 58,1%, sul fatto che occorre considerare la provenienza socioculturale del paziente per garantire una miglior prestazione.
Alla richiesta di eventuali approcci con avvienti mediativi a livello territoriale il 41,9% ha risposo di “sì”, tra quelli che maggiormente sono stati indicati dagli infermieri abbiamo gli assistenti sociali, con il 51,5%, seguiti dai mediatori culturali con il 30,3%. Il 67,3% dei candidati si è mostrato incerto rispetto al quesito che chiede ai candidati se sia fondamentale un corso interculturale per gli infermieri per favorire un miglior approccio con il paziente. Ma, rispetto agli strumenti da utilizzare per avere una compliance ottimale con gli assistiti, la principale opzione indicata è la presenza di un mediatore culturale, con 29,9% sulle risposte totali, seguita dalla presenza di un familiare o persona di fiducia che ricopre il 28,0%.
Infine, per ottimizzare l’assistenza infermieristica ai pazienti stranieri, l’opzione principalmente indicata per agire è la disponibilità H24 del servizio di mediatore culturale, con il 72,1% delle risposte, questo fa capire che la barriera linguistica va a gravare sull’operato dell’infermiere.
Attraverso la rilevazione delle variabili relazionali, percepite e vissute dagli infermieri italiani, è stato infatti possibile evidenziare alcuni fondamentali aspetti dell’incontro con il paziente straniero: quale sia grado di preparazione che gli infermieri pensano di avere in questo specifico settore e quanto ritengano utili gli studi fatti; quale sia l’importanza teorica attribuita alla componente socio-culturale del bisogno e quale la rilevanza pratica data a tale aspetto nella situazione assistenziale concreta; quale sia l’entità percepita della presenza degli utenti immigrati; quale sia il giudizio globale su questa esperienza di incontro e quali reazioni emotive suscita negli operatori stessi; quali, infine, siano le principali difficoltà legate alla differente appartenenza culturale, quanto possano compromettere la prestazione assistenziale, gli strumenti reputati più opportuni a cui ricorrere per affrontarle e risolverle e le strategie messe in atto.
Dagli studi ma non solo, anche dai dati epidemiologici, la popolazione, valutando l’aspetto sanitario, ha bisogno di cure. Allora in che modo si può fornire una adeguata cura? È importante conoscere il vissuto della persona, comprendere i suoi bisogni assistenziali, distaccarsi dalla standardizzazione e fornire cure specifiche al paziente che ci si trova di fronte, questo oltre a fornire maggior compliance, rendere il paziente maggior complice oltre a raggiungere maggiori feedback sia in termine di efficienza che efficacia all’assistenza fornita.
Nel discorso rivolto al Senato del 17 febbraio 2021 il Presidente del Consiglio Mario Draghi, per quanto riguarda la sanità, si è soffermato sul fatto che occorre rafforzare e disegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base. Si spera che, se ci fosse una riforma sulla sanità territoriale, il Governo prenda in considerazione anche l’assistenza interculturale, per garantire una presa in carico olistica del paziente, dove le differenze culturali non siano punto di disuguaglianza ma diventino punti di forza in un paese ormai radicalmente cambiato.
Ihssane El Garmoune è un’infermiera dell’Ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze.
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