Il Surgeon General (in italiano capo del servizio sanitario pubblico) è il principale portavoce in materia di salute pubblica del Governo Federale degli Stati Uniti, viene direttamente nominato dal Presidente eletto e successivamente confermato dal voto del Senato. Il suo mandato dura in teoria 4 anni, anche se negli anni passati le figure nominate sono state rinnovate oppure destituite anche prima della scadenza del mandato. Possiamo dire che, considerando il ruolo politico e strategico, la sua nomina dipende molto dallo schieramento politico del Presidente in carica.Quello del Surgeon General è un ruolo importante per la politica americana, in quanto rappresenta il principale portavoce governativo riguardo alla sanità pubblica, riveste un ruolo centrale in materia di prevenzione e ha la funzione di capo generale del corpo sanitario militare, che conta circa 6500 membri. Se dovessimo paragonarlo ad una struttura italiana, con le dovute differenze e approssimazioni, possiamo dire che è molto simile al Capo del Dipartimento della Protezione Civile, con competenze specifiche e limitate al mondo sanitario.
Un’altra differenza significativa tra le due organizzazioni è che, al contrario della Protezione Civile, che arruola e addestra principalmente dei volontari, lo United States Public Health Service Commissioned Corps (PHSCC) possiede un’organizzazione militare non combattente, composta unicamente da ufficiali in servizio. Tirate le somme, bisogna dire che il Surgeon General è un ruolo di prestigio e di grande responsabilità, che riveste ancora più importanza in questo momento storico caratterizzato dall’emergenza sanitaria relativa al Covid-19.


Il 26 gennaio 2021 il neo Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden ha deciso di nominare come Surgeon General of the United States Susan Orsega, già responsabile della direzione di tutte le funzioni riguardanti il personale, le operazioni, il dispiegamento e la politica del PHSCC. Si tratta di un’infermiera, oltre che Contrammiraglio del corpo sanitario militare, che ha una vasta esperienza nel campo delle malattie infettive e nella gestione delle emergenza sanitarie. E’ necessario sottolineare che Orsega, seppur sia stata scelta per il suo grado militare, considerato il PHSCC prima di tutto un organismo militare gerarchico, possiede un curriculum in campo sanitario di tutto rispetto, che le ha permesso di occupare un ruolo così importante. Infatti nel suo curriculum spiccano esperienze lavorative in Africa durante la crisi legata al virus Ebola, dove in Liberia e Sierra Leone ha coordinato le prime sperimentazioni umane del vaccino, ha lavorato in una equipe medica scelta dopo l’attentato dell’11 Settembre 2001, è un’esperta in materia di pratica infermieristica legata all’emergenza HIV/AIDS, di operazioni internazionali, di diplomazia sanitaria e di risposta ai disastri. In più è anche autore e coautore di numerosi articoli su riviste peer-reviewed e ha presenziato ad importanti conferenze scientifiche e infermieristiche in tutto il mondo. Tra i numerosi incarchi, spiccano anche una grande quantità di onoreficienze (NIH Director’s award, Uniformed Services University (USU) Graduate of School of Nursing Alumni of the Year award, HHS Secretary’s Award for Distinguished Service, Princess Muna Al Hussein Award dell’American Nursing Credentialing Center).
Le sue abilità, la sua esperienza, l’incarico pregresso di Chief Nurse Officer dell’PHSCC dal 2016 al 2019 e la lunga lista di onorificenze hanno reso sicuramente molto facile la scelta di Joe Biden, che non ha dovuto certo confrontarsi con le critiche strumentali dell’opinione pubblica, perché ha deciso di nominare un’infermiera ad una carica che nel nome riporta la dicitura “chirurgo”, seppur comunque si tratti di un ruolo prevalentemente manageriale. Non solo dal curriculum vitae di Orsega emerge una competenza impeccabile nella sanità pubblica, qualità che si evidenziano anche nei suoi predecessori colleghi, l’infermiere e medico Richard Carmona (Bush) e l’infermiera Sylvia Trent-Adams (Trump), ma emerge anche una particolare attenzione da parte degli States nella valorizzazione della figura dell’infermiere a 360 gradi.

Fortemente influenzata dalla cultura britannica di Florence Nightingale, che Google durante la ricerca si ostina a definire uno “statistico” (Figura 2), le infermiere hanno sempre avuto un ruolo cruciale nella politica, nella scienza, in campo militare e nel mondo sanitario in generale degli Stati Uniti, portando con coraggio, forte identità e orgoglio notevoli innovazioni non solo nella propria materia, ma anche nella gestione ed amministrazione della sanità pubblica. Le radici del valore e della forte consapevolezza pubblica che gli infermieri sono capaci di grandi imprese, sono frutto di un lavoro centenario, con alti e bassi. Tornando a qualche decennio indietro, viene subito in mente per esempio Helen Fairchild, che ha avuto un ruolo fondamentale nell’American Expeditionary Force durante la Prima Guerra Mondiale; Dorothea Dix, che fondò il primo ospedale pubblico per malattie mentali in Pennsylvania e scrisse un disegno di legge che, approvato da entrambe le Camere, ma poi fermato dal Presidente Franklin Pierce, ha comunque segnato per sempre la sanità pubblica americana; Margaret Sanger, pioniera della contraccezione e dei diritti riproduttivi, fondatrice della prima Clinica di Controllo delle Nascite negli Stati Uniti e istitutrice di numerose organizzazioni, che si sarebbero poi evolute nell’attuale Planned Parenthood; Mary Breckinridge, che fondò il Kentucky Committee for Mothers and Babies e che istituì la prima scuola di ostetricia; Clarissa “Clara” Harlowe Barton, fondatrice e prima presidente della Croce Rossa Americana.
Oltre ovviamente alle singole figure, spesso altamente specializzate, mosse da talento, intuizioni, grande aspirazione e forte personalità, c’è stato anche un lavoro collettivo nel campo della ricerca, che ha reso l’America Journal of Nursing (AJN) una delle “100 riviste più influenti in biologia e medicina negli ultimi 100 anni”, dando così ulteriore prestigio alla figura dell’infermiere.
E in Italia?
In italia la situazione è un po’ più complessa e lo sviluppo, il riconoscimento e la valorizzazione concreta della figura progredisce con fatica. Sicuramente durante la fase della pandemia Covid19, percepita come una vera e propria guerra dall’opinione pubblica, si è sviluppata una forte mitizzazione della figura. In particolar modo durante l’ultimo anno il ruolo dell’infermiere ha ritrovato una nuova luce. La pandemia ha puntato i riflettori sul nostro lavoro e abbiamo ricevuto dall’opinione pubblica i meritati riconoscimenti. Corsi e ricorsi storici però ci fanno dubitare che da questa mitizzazione possa nascere una maggiore consapevolezza da parte della componente politica sul fondamentale ruolo che la professione infermieristica riveste all’interno del Sistema Sanitario Nazionale. Sicuramente, come negli States, abilità e esperienze individuali hanno potuto distinguersi anche in Italia, ma mai ad oggi con incarichi apicali e ruoli politici all’interno dei vari governi. Questo potrebbe essere dovuto ad una mancanza di profili adeguati e, probabilmente, anche ad una mancanza di sensibilità da parte degli organi politici al riguardo.
Tutto sommato qualche notizia positiva, che ridà valore concreto alla professione, arriva anche nel nostro paese. Infatti la nomina di un infermiere, Mauro Filippi, come Dirigente Generale dell’USL 4 “Veneto Orientale”, il secondo caso in tutta Italia (primo nella sanità pubblica), apre diverse prospettive per la professione, con evoluzioni che potrebbero segnare un meritato e combattuto riconoscimento anche in altre aree della sanità pubblica. Il Dott. Filippi (Figura 3), come si legge dal suo curriculum vitae, oltre al titolo di Dirigente dell’Assistenza Infermieristica conseguito presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma nel 1989, ha conseguito anche la laurea anche in Scienze dell’Educazione e dal 2005 è dottore magistrale in Scienze Infermieristiche ed ostetriche presso l’Università Tor Vergata di Roma dal 2002. Prima di questo importante incarico inoltre, ha ricoperto anche il ruolo di direttore delle Professioni Sanitarie dell’USL 10 Veneto Orientale, oltre all’attività di docente di “Management 2” presso il Corso di Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche presso l’Università di Padova e di “Organizzazione delle aziende sanitarie” presso il Corso di Laurea Infermieristica dell’Università di Padova.

Il “caso” Filippi, che possiamo definire un passo in avanti, seppur timido, della politica, rappresenta una novità per quanto riguarda la sanità pubblica italiana. Nonostante i percorsi accademici siano praticamente identici, l’omologo obiettivo raggiunto dalla Dott.ssa Marinella D’Innocenzo alla ASL di Rieti non è passato dalla sua esperienza di qualche anno come Dirigente Infermieristico e nulla ha a che fare con la professione, come erroneamente riportato da alcuni canali e media, ma ha seguito invece un percorso differente. Infatti, solo dopo aver vinto un un avviso come Dirigente Amministrativo e un percorso come Direttore della OUC Controllo di Gestione, è salita di grado ed è stata nominata Direttore Generale. E’ lei stessa, raggiunta dalla nostra redazione, a smentire che la carica attuale sia in qualche modo riconducibile alla sua esperienza come infermiere.
A prescindere però dal percorso della Dott.ssa D’Innocenzi, i profili altamente specializzati ed esperti, come quello del Dott. Filippi, non sono rari dentro gli ospedali italiani. Se però da una parte la specializzazione alla magistrale in scienze infermieristiche è ormai necessaria, dall’altra, il fattore esperienziale risulta fondamentale. Purtroppo però la nostra professione, al contrario della percezione e della considerazione che hanno di questa negli States, è compromessa dai alcuni ritardi, che l’hanno fortemente condizionata nella sua evoluzione e crescita. Basti pensare, ad esempio, che mentre negli Stati Uniti il “training” degli infermieri si è spostato dall’ospedale al college e università nel 1964 (più di mezzo secolo fa), in Italia questo è avvenuto nel 1991 con il diploma e solo nel 2001 con una vera e propria laurea (triennale), anche se la gestione, tranne in alcuni casi, rimane tutt’oggi ancora sotto il controllo delle aziende sanitarie (le vecchie Scuole Professionali a gestione regionale).
In questi mesi gli infermieri hanno dimostrato e stanno dimostrando in diverse situazioni e in diverse parti del mondo di avere forti doti di leadership, che non ci risulta si acquisiscono solo ed esclusivamente nei corsi di laurea in medicina e chirurgia. Queste competenze possono essere sfruttate a vario livello, sia nell’organizzazione dei setting di assistenza, ma anche a livello dirigenziale.
Occorre ripensare alla struttura del nostro Sistema Sanitario Nazionale, ad una nuova riforma che lo contestualizzi al 2021 e che metta la figura del paziente al centro. Il mondo anglosassone e americano seguono questa linea da molti anni, con benefici anche di tipo economico, che si riflettono sulla spesa pubblica. In Italia invece, anche se in teoria leggi e decreti hanno sancito una notevole evoluzione dell’infermiere, la nostra figura è ancora ancorata a vecchi retaggi politici, sociali e culturali.
Ciò che dovevamo dimostrare, lo dimostriamo ogni giorno. Occorre aprire gli occhi: gli infermieri nel 2021 hanno competenze specifiche, date da formazione post base ed esperienze formative, che devono essere sfruttate e valorizzate.
Curiosi del profilo del Dott. Filippi, con l’obiettivo di andare oltre il semplice curriculum vitae e comprendere meglio idee e visioni dell’uomo che ha aperto per primo una porta ancora chiusa per molti professionisti validi in tutta Italia, abbiamo deciso di intervistarlo.
Dott, Filippi, lei è l’unico infermiere in Italia ad essere diventato Direttore Generale all’interno della sanità pubblica. Quale tappa del suo percorso formativo o esperienziale ritiene sia stata fondamentale per il ruolo che ricopre oggi?
«La formazione permanente, che personalmente ho sempre curato, ad integrazione della laurea magistrale. Parlo di contenuti inerenti alle funzioni manageriali, alla programmazione e all’organizzazione aziendale, alla leadership e all’attività di direzione fatta per gradi (da dirigente a dirigente struttura semplice a direttore struttura complessa). Ho seguito i vari step a diversa complessità, che mi hanno permesso di mettere le basi sulle quali costruire poi il passo successivo.»
In questi primi mesi da Direttore Generale ha mai avuto difficoltà a rapportarsi con le altre figure professionali (ci riferiamo nello specifico ai medici)?
«Assolutamente nessuna. Lavoro da anni con loro e, a parte qualche diffidenza iniziale, poi ci si misura sulle reali competenze ed i risultati, non sul titolo.»
Secondo lei come mai i politici italiani, al contrario di quelli americani o anglosassoni, sono ancora oggi restii a conferire cariche apicali del mondo sanitario agli infermieri, anche se altamente qualificati?
«C’è l’idea errata, basata su una sorta di immaginario collettivo ed una cultura radicata nel tempo, che alcune professioni siano di maggior rilievo o spessore culturale di altre e pertanto a queste vada sempre riconosciuto una sorta di valore implicito, trascurando il fatto che tra tutte le professioni di area sanitaria quelle infermieristiche hanno da decenni sempre curato la formazione manageriale. Basti pensare che i primi corsi di Dirigente Infermieristico sono partiti in Italia a fine anni ’60 e il corso per coordinatori esiste invece da sempre. Purtroppo non tutti ne sono consapevoli, ma gli infermieri per primi e a seguire negli ultimi decenni anche gli altri professionisti hanno sviluppato elevate competenze manageriali.»
Durante l’emergenza Covid19 e, in particolar modo durante questa fase delle vaccinazioni, è emerso molto chiaramente che la politica e la sanità hanno un rapporto molto stretto, che diventa spesso complicato. La prima è fortemente legata al consenso, la seconda alla scienza, che a volte può risultare molto impopolare. Secondo lei quali devono essere i limiti che entrambe dovrebbero porsi per poter collaborare e funzionare efficacemente?
«La politica deve dare gli obiettivi, come è giusto che sia. Ai tecnici va dato invece lo spazio per definire come come raggiungerli, nel rispetto delle regole ovviamente, mettendo in campo ciò che è necessario, in scienza e coscienza.»
Quali sono secondo lei le prospettive future per la nostra categoria professionale? E quali sono gli ambiti sui quali c’è da lavorare (ordine professionale, sindacati, politica, associazioni, università)?
«Le prospettive possono essere molteplici, ma dipende dagli infermieri chiedere che ci sia pari opportunità ai percorsi professionali e di carriera. Perché questo succeda, gli infermieri devono essere presenti anche nei luoghi dove si prendono le decisioni, a qualsiasi livello.»
Da un paio di giorni si discute, anche in maniera molto accesa, della possibilità di togliere il vincolo di esclusività degli infermieri con la sanità pubblica, un po’ come avviene già con i medici, anche se in modalità differente. Attualmente questo vincolo è stato rimosso solo per le vaccinazioni. Questo purtroppo ha creato molto malcontento. Lei che ne pensa del vincolo di esclusività?
«Io penso che in sanità le regole debbano essere le stesse per tutti i professionisti.»
Qual’è stata la difficoltà più grande che ha riscontrato durante le prime fasi dell’emergenza da Direttore delle Professioni Sanitarie?
«Sono stato Direttore delle Professioni Sanitarie dal 2004 sino al 2016. Poi da marzo 2016 al 2021 ho ricoperto in Direzione Strategica l’incarico di Direttore dei Servizi Sociosanitari (figura che in Veneto si occupa della direzione dei servizi territoriali, mentre il Direttore Sanitario è il riferimento delle strutture ospedaliere). L’emergenza quindi l’ho gestita occupandomi delle Case di Riposo e della gestione domiciliare dei pazienti Covid+. La difficoltà maggiore è stata quella di definire velocemente le strategie efficaci per contenere la diffusione dell’epidemia. Su questo fronte la cabina di regia, assicurata dalla Regione Veneto, dove la politica dettava strategie e gli obiettivi ed i direttori delle aree regionali definivano le regole ed il metodo, è risultata essere l’arma vincente. Da marzo 2021 sono poi diventato Direttore Generale ed ora sto gestendo la terza fase della pandemia.»
Quale consiglio si sente di dare agli infermieri che oggi ambiscono a ruoli dirigenziali e apicali come il suo?
«Crederci, studiare e lavorare pensando sempre alla persona che si ha di fronte; avere rispetto di se stessi, curando allo stesso tempo corpo e mente; rispettare gli altri, riconoscendo il loro valore; lavorare in team e per il team e mai da soli; cercare di capire e conoscere tutte le dimensioni dell’azienda, non solo quelle cliniche ed assistenziali, ma anche quelle economiche (saper leggere un bilancio), quelle giuridiche (comprendere i contenuti di un accordo o di una contratto in generale), relazionali (rapportarsi con gli stakeholders interni ed esterni).»
Lorenzo Gallo lavora come infermiere di emergenza extraospedaliera presso la Centrale Operativa 118 Firenze e Prato.
Hamilton Dollaku lavora come infermiere presso l’IRCCS Don Carlo Gnocchi di Firenze nel reparto di cardiorespiratorio.
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