Emergenza Covid: fondamentale conoscere il burnout per superarlo


Il termine “burnout” (letteralmente “bruciarsi”) è stato coniato negli anni ‘70 ed è stato approfondito in particolare da Cristina Maslach. Inizialmente si riferiva alla relazione tra chi forniva un servizio di cura/assistenza e chi lo riceveva. Successivamente il termine è stato esteso anche a tutte le altre professioni, andando in definitiva ad indicare la conseguenza di un’interazione tra la persona ed il suo contesto lavorativo.

Il burnout, dunque, rappresenta una risposta prolungata e stabile nel tempo a fattori di stress che l’individuo vive in maniera molto forte sul posto di lavoro. Secondo Maslach si articola in tre dimensioni:

  1. l’esaurimento emotivo, cioè un eccessivo utilizzo delle risorse emotive fino ad arrivare al loro prosciugamento;
  2. la depersonalizzazione o cinismo, un meccanismo di difesa messo in atto dall’individuo per proteggersi che consiste nel distacco dalle persone e dal lavoro più in generale;
  3. il senso di inefficacia personale, inteso come senso di inadeguatezza.

Secondo il modello proposto da Maslach esistono 6 aree della sfera lavorativa che vanno ad incidere sulla nascita del burnout:

  1. il carico di lavoro, quando la quantità di lavoro richiesta all’individuo è superiore alle sue capacità di fronteggiarlo;
  2. il controllo, riferito alla mancanza di controllo sul lavoro che si sta svolgendo e alla mancanza di autonomia;
  3. il riconoscimento, quando il proprio lavoro non viene sufficientemente riconosciuto ed apprezzato;
  4. il supporto, cioè la mancanza di aiuto da parte di colleghi e/o superiori o la più generale assenza di relazioni vere sul posto di lavoro;
  5. l’equità, cioè la mancata percezione che il carico del lavoro, la retribuzione ed il trattamento personale siano uguali tra i dipendenti, favorendo così la loro insoddisfazione;
  6. i valori, quando l’individuo non si rispecchia nei valori portati avanti dall’organizzazione, creando un dislivello tra ciò che vuole fare e ciò che deve fare.

L’impatto del burnout

Il burnout compromette il funzionamento degli individui, influenzandone la qualità del lavoro, la performance oltre che la salute fisica e psicologica e la relazione con la famiglia.

A livello lavorativo, i dipendenti che soffrono di sindrome da burnout mettono in atto performance di bassa qualità, facendo più errori e rispondendo con meno prontezza e creatività alla risoluzione dei problemi. Uno studio ha evidenziato che gli infermieri che sperimentavano alti livelli di burnout, secondo i pazienti, erano meno in grado di fornire cure adeguate rispetto ai colleghi che non lo sperimentavano. Inoltre, il burnout è stato associato a diversi comportamenti lavorativi negativi quali insoddisfazione lavorativa, scarso impegno, assenteismo, turnover, abbandono del posto di lavoro.

Rischi molto importanti possono presentarsi anche a livello psicologico e fisico: costante tensione, irritabilità, apatia, demoralizzazione, senso di fallimento e frustrazione, distacco emotivo, conflitti coniugali e famigliari, sospetto e paranoia, uso eccessivo di farmaci o sostanze in generale, fino ad arrivare in alcuni casi allo sviluppo di ansia; e ancora a livello fisico stanchezza, inappetenza, nausea, dolori muscolari.

L’insorgenza della sindrome del burnout nel personale sanitario durante il Covid-19

Con l’avvento della pandemia da Covid-19 tutta la popolazione ha dovuto fare i conti con un’emergenza sanitaria ed in prima linea nella gestione di quest’ultima ci sono stati e ci sono ancora medici, infermieri ed operatori sociosanitari. Sono tanti i cambiamenti che questi hanno dovuto affrontare nel corso dell’ultimo anno: la diversa organizzazione lavorativa, nuovi protocolli di sicurezza, nuove modalità relazionali sul posto di lavoro e fuori; portano inoltre sulle loro spalle il peso di gravose responsabilità. Medici, infermieri ed O.S.S. devono occuparsi della cura dei pazienti contagiati e questo può generare preoccupazione e paura non solo di poter contrarre il virus, ma di poter contagiare a loro volta parenti ed amici. Inoltre, il fronteggiarsi quotidianamente con una malattia di cui non si ha ancora una conoscenza profonda, può generare in loro senso di impotenza e frustrazione. Il prolungarsi nel tempo di questa emergenza sanitaria ha portato in molti casi ad un aumento dello stress lavoro-correlato che, se intenso e durevole nel tempo, può favorire l’insorgenza della sindrome da burnout.

Dai risultati di uno studio condotto dal Centro di Ricerca Engageminds HUB dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) sugli effetti della pandemia da Covid-19 sulla salute psico-fisica degli operatori sanitari è emerso che il 93% ha sperimentato almeno un sintomo di stress psico-fisico, nello specifico: il 65% degli intervistati ha riportato maggiore irritabilità del normale, il 62% ha avuto problemi di sonno, circa il 50% ha sofferto di incubi notturni, il 45% ha avuto crisi di pianto e il 35% palpitazioni. Per quanto riguarda le dimensioni specifiche del burnout un operatore su tre ha mostrato segni di esaurimento emotivo e uno su quattro moderati livelli di depersonalizzazione.

Alla luce di tutto ciò che la pandemia ha fatto emergere, è necessario che il personale sanitario sia maggiormente tutelato, che riceva un supporto psicologico adeguato e che sia correttamente indirizzato verso le strategie a lui più funzionali per poter curare e prevenire la sindrome da burnout.

Strategie per la prevenzione e la cura del burnout

Nel momento in cui si avvertono i primi campanelli d’allarme, occorre mettere in atto un’adeguata strategia per poter prevenire o contrastare il burnout. L’insieme di strategie cognitive e comportamentali che un individuo usa per gestire le richieste interne o esterne, che sono percepite come eccessive rispetto alle risorse possedute, è definito “coping”. Le strategie di coping possono essere di vario tipo e dipendono dal tipo di situazione che si deve fronteggiare.
Lazarus e Folkman (1984) hanno individuato:

  • il coping orientato al problema, che indica la gestione attiva del problema tramite comportamenti orientati a risolverlo;
  • il coping orientato alle emozioni, che promuove l’aumento del benessere dell’individuo tramite la gestione ed il cambiamento della risposta emozionale evocata dalla situazione problematica.

Un esempio di coping orientato al problema è l’identificazione del problema stesso: il reperire informazioni attraverso libri e ricerche o il colloquio con professionisti del settore, quali psicologi o psicoterapeuti.

Un esempio di coping orientato alle emozioni può essere la pratica quotidiana della gratitudine e del pensiero positivo, attraverso pensieri da formulare prima di andare a dormire o in momenti di pausa, o ancora l’utilizzo della tecnica del “journaling”, che consiste nel mettere per scritto i propri pensieri e riflessioni. Bastano anche pochi minuti a settimana per scrivere cosa si è vissuto nei giorni precedenti, cosa si è provato, cosa ha funzionato e cosa non. Queste rappresentano delle ottime strategie per capire sé stessi e per pianificare azioni future che permettano di essere maggiormente produttivi ed evitare il burnout.

È inoltre molto importante che le vittime non si isolino, che cerchino l’aiuto ed il supporto non solo di un professionista, ma anche di parenti ed amici, per poter assorbire l’amore e la positività che gli affetti veri possono dare. È fondamentale parlare di questa problematica anche sul proprio luogo di lavoro, coinvolgendo colleghi o superiori. È utile per dare coraggio a coloro che si trovano nella stessa situazione ma non sanno come affrontare il problema ed allo stesso tempo per sé stessi. Il supporto sociale, infatti, rappresenta un’importante strategia di coping, perché si può beneficiare dell’esperienza di persone che hanno affrontato una situazione simile, perché si può rivalutare la situazione da altri punti di vista e perché gli altri rappresentano una fonte di incoraggiamento per superare gli stressors.

Un altro suggerimento tanto efficace quanto difficile da rispettare da alcuni lavoratori, è quello di staccare la spina quando non si è a lavoro, di prendersi dei momenti di pausa per rigenerarsi, per prendersi cura dei propri bisogni così da potersi occupare al meglio degli altri (come nel caso del personale sanitario).

Una strategia particolarmente utilizzata è quella della “mindfulness” (letteralmente “consapevolezza”), una pratica articolata sulla meditazione che utilizza esercizi che coinvolgono il corpo e la mente. Questa si riferisce ad un’attenzione consapevole, intenzionale e non giudicante verso la propria esperienza, nel momento in cui essa viene vissuta e consente di riconoscere le proprie emozioni ed i propri pensieri, accogliendoli così come sono, sospendendo ogni giudizio con un atteggiamento di accettazione. Il tema centrale della mindfulness ruota proprio attorno alla diminuzione dello stress e della conseguente sofferenza, attraverso una graduale accettazione delle situazioni difficili, cui si può essere sottoposti quotidianamente. Diverse ricerche hanno evidenziato miglioramenti clinici in termini di stress ed ansia attraverso l’uso di tale strategia. Affinché si possano ottenere benefici, è fondamentale la pratica costante e l’aiuto di un professionista. Per poter contrastare in maniera efficace il burnout, è inoltre opportuno sviluppare un’adeguata resilienza, definita come la capacità di riprendersi dalle avversità, consentendo alle persone di trasformare le esperienze negative in risultati positivi. La resilienza aiuta l’individuo a comprendere che talvolta alcune situazioni non possono essere cambiate, ciò che può cambiare è la prospettiva da cui si guardano le cose: con il tempo si può sviluppare, infatti, una mentalità aperta che vede nelle situazioni negative un’opportunità di crescita. Il burnout rappresenta ad oggi una problematica diffusa e ancora sottovalutata sotto diversi punti di vista; il primo passo da fare per affrontare e sconfiggere il burnout è capire di non essere soli e richiedere aiuto ai professionisti del settore.

Lavinia Venditti è una psicologa specializzata in Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni. Fa parte del Team LibraMentis, attualmente impegnato nel progetto “Supporto Sicuro”, che nasce dalla volontà di fornire, a seguito della pandemia Covid-19, servizi di supporto alla popolazione generale e a tutti gli operatori sanitari.

Bibliografia

  1. Avallone, F. (2011). Psicologia del lavoro e delle organizzazioni: costruire e gestire relazioni nei contesti professionali e sociali, 659-665, Carocci editore, Roma.
  2. Dewett, T. (2019). Avoiding burnout. Link.
  3. Maslach, C. (2006). Stress and quality of working life: current perspectives in occupational health, 37-40, Information Age Publishing, Greenwich (CT).
  4. Sanità24 (2020). Coronavirus/Università Cattolica: 7 operatori sanitari su 10 colpiti da burnout. Link

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